Vicalvi
Vicalvi sorge sull’omonima collina e si conforma alle asperità del territorio
Sulla cima domina il maestoso castello, che è circondato da un fossato e un muro di controscarpa, sui lati est, sud e ovest, ma non sul lato nord, il più scosceso. Al di là della controscarpa si estende il quartiere fortificato chiamato il “Giro”. Un altro semicerchio di mura, che richiude solo i versanti da ovest a sud, comprende il quartiere rinascimentale chiamato “Valle”.
Nel corso dei secoli il nucleo originario si è man mano ingrandito e sono nate alcune piccole contrade prossimali ai campi coltivati.
La più recente è la zona a maggiore sviluppo urbano, detta “Delicata”, all’incrocio tra la via Sferracavalli e la strada in salita che permette di raggiungere la sommità della collina dalla parte meridionale.
Sebbene molte delle testimonianze culturali e monumentali del paese si individuano all’interno dell’insediamento fortificato, si trovano resti di valore storico-artistico anche in località “Borgo” e nei pressi del nuovo abitato.
Il nome “Vicalvi”, che probabilmente significa “paese di montagna” (vicus: “paese”; albus: “monte”, dalla stessa radice da cui deriva “alpe”), è testimoniato per la prima volta nella Cronaca del monastero di San Vincenzo al Volturno, in un documento, datato 742 d.C. La prima testimonianza della presenza di un castello è la donazione fatta da Pandolfo II di Capua a Montecassino nel 1017.
Sulla collina, in epoca pre-romana, sorgeva un insediamento sannita, probabilmente identificabile con l’antica Cominium, del quale rimangono solo alcune testimonianze: porzioni di due cinte di mura poligonali, che evidenziano un precedente abitato molto più esteso dell’attuale, e un bassorilievo di epoca romana che rappresenta la testa di un guerriero sannita, oggi collocato nella sala comunale. Probabilmente, durante il periodo romano, sulla collina e nelle sue vicinanze, vi erano ville sparse, una necropoli e, in cima, sorgeva un tempio, come testimoniato dai resti ancora oggi visibili poiché riutilizzati in vari edifici.
“Venendo verso Alvito un miglio lontano da la Posta è Vicalvi; luogo posto ne la cima d'un erto Colle, sassoso da la banda d'Oriente; da l'altra cretoso, et arenoso, et da la metà in su spiccato d'intorno, et posto su la sponda de la Conca, ò Valle suddetta, et viene ad esser questo Colle con la fila de Monti, attaccati da la banda d'Alvito, et d'altri Colli verso Casalvieri, l'altro braccio che distendono li Appenini verso Occidente, come di sopra habbiamo detto; et è come una Porta del Stato, ove s'entra venendo da la Campagna di Roma, et Stato di Sora, et Valle di Rovito, et qui ancora si riscuote il passo per il Sig.re. Questo Castello fa da 150 fuochi, hà buon.ma aria, et veduta belliss.a”
Relatione familiare de Lo Stato d' Alvito, fatta a l’Ill.mo sig.re di Como 1595 in Anonimo - I Ducato di Alvito nell'Età dei Gallio, Atina, 1997
“Vicalvi, dal Biondo e dall'Alberti detto Vicaglio, oggi nella descrizione del regno di Napoli, da' paesani è chiamata Vicalvi, nome più conveniente per l’etimologia del nome e del sito, poiché la terra divisa in due parti, Valle e Castello, nell'uno, e nell'altro vi è una sola strada; all'in su e all'in giù, nella destra sinistra de quali vi sono le case contigue; questa forma, modo di case così disposte, si chiama Vico, come dice Varrone, Vici a via O dicuntur, quod ex utraque parte viaesintaedificia; li quali vichi per star sopra d'un monte di bianca arena, fu detto Vicus Albus da Vico Albo, che levata per sincope la lettera o, e trasmutata la b in v, fu detto Vicalvi.
È posto in un erto, alto e ripido monte, che è nell'altura di figura. circolare, e d'ogni parte distaccato dall' Appennino, e cinto tutto di fortissime, grosse ealte mara, con torre, merli e fossi, a modo di una fortezza, di maniera tale, che ha quel suo castello dell'inespugnabile: ha la faccia ad ostro, le spalle a tramontana.”
Descrizione del Ducato d'Alvito nel Regno di Napoli in Campagna felice di Gio. Paolo Mattia Castrucci, 1863
GL CASCTEGL D WCALW
Nu tném n casctégl ross,
glchiù ross d glmunn.
C sémaffézionat, èncconscarrpat
ma rapprsèntatuttglpassat.
E’ n casctéglwuécch d mill'ann
ma scta ancora loch.
La cappèllach la Maònna,
gl salon d la fèscta,
scal, scalétt, fnèsctr e fssur
tutt po' wé.
Quéllchscta 'nbèllamosctra, prò,
è la latrina ... manchgltémp l'è tccata.
S'azzicchngima p chéllscal,
è wér so ncconscarrpat,
ma allora, sul allora,
wuidglparadis e t accorg
d commglmunnèfatt,
prchésctCasctégl t gl fa wé,
e quascquasc t gl fa tccà.
T fa tccaglcèl, gl sol elsctéll
tu t sént caccosa attornattorn
comm s t wléssabbraccià.
E’bbégl, è troppbégl a wardà.
S tgir attorn attorn,gl'occhtssspérdn
e wuijtuttquéllch c scta da wé:
cèl, tèrra, mont e mntagn,
wuij e wuijuzz, cas, casétt e pagliara;
tutt, tutt tappar sott agljocch.
Sént a mé: s tu wò ess Re
pur p n jiorn sul
Wcalw, glcasctégl d Wcalw fa p té,
t`aspètta, wuén, wuến a wé.
Vanda Riggi
Le immagini sono di Federico Morelli Photographer